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Giornalisti si diventa, inviati si nasce

pubblicato 21 giu 2010, 14:39 da Mauro Sarti
Fare giornalismo locale è più difficile. La cronaca delle città è più complicata e a volte, in certe giornate quando il barometro della notizia segna la depressione profonda, richiede anche molta fantasia. Ma il giornalismo locale è anche quello che permette al cronista di trasmettere gli umori di una città: il Coccodrillo crede molto a questa dimensione, quella che cresce in sordina e (a volte) arriva ad avere la dignità del “nazionale”. Allora gli inviati che arrivano da Roma e Milano cercano il cronista di provincia con la sua agenda piena di numeri, i suoi contatti preziosi, la sua memoria puntuale su tutto quello che è successo. Un rapporto che raramente è paritario, e dove c’è soltanto un dare. Tipo: “Ciao bimbo, mi racconti com’è andata la storia? Per te c’è una bella caramella…”.

Quante vertenze nelle fabbriche sono partite sottovoce e hanno poi conquistato le pagine dei più importanti quotidiani, come la Innse che è stata occupata un anno prima di arrivare alla lotta che tanto ha emozionato durante l'estate riaccendendo i riflettori sulle “tute blu”? Quante storie di vita quotidiana dei cittadini diventano paradigma per la vita di tutti? Un orto che cresce in un centro urbano strappato al cemento e all'incuria quanto racconta del bisogno di molti di vivere in una società dove si ama di più il verde?

Il giornalista locale è un pozzo senza fondo, una miniera  di relazioni e di saperi. A patto che nel tempo non modifichi il suo linguaggio trasformandolo in quello che si trova scritto nei mattinali della questura, oppure non si chiuda nel grigio autoreferenziale di una commissione consiliare. Noi, qui a Bologna, siamo poi anche fortunati: il consiglio comunale non ce l’abbiamo più. Direbbe Pulitzer (nella foto): è una grande opportunità.   

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