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Ordine, da cambiare con cura

pubblicato 15 mag 2010, 12:31 da Mauro Sarti

Chiedono in tanti in questi giorni al Coccodrillo a cosa serve l’Ordine dei giornalisti.  Se non valga la pena abolirlo, e che in altri paesi ci si regola in modo diverso. Ecco, il Coccodrillo è d’accordo con chi ama cambiare le cose dal di dentro.  Con chi vuole sporcarsi le mani, sbagliare, rifare. Dunque se l’Ordine dei giornalisti è da cambiare (e lo è), meglio cominciare dal piccolo,  dalle cose che ci sono già e che non funzionano. In fondo parliamo di una legge del 1963, vecchia di cinquant’anni, nata sull’onda delle Liberazione, quando non erano previste regole deontologiche, e nemmeno le si volevano prevedere. Insomma, è una legge tutta da rifare. Ed è curioso che in un parlamento pieno zeppo di giornalisti, ancora non si sia trovata la forza per farlo. Snellendo un sovraffollato e costoso “parlamentino” romano, rendendo più semplici le denunce di violazione della deontologia (ad esempio cominciando a pubblicare un form elettronico sul sito dell’Ordine dell’Emilia-Romagna, perché no?), istituzionalizzando i percorsi di formazione per i pubblicisti. Tanto per cominciare. Un Ordine da rifare da capo a piedi e che stia dalla parte dei cittadini, e non per difendere quello che resta di una casta professionale sempre più povera e confusa. L’alternativa sarebbe restare senza alcun punto di riferimento su accesso alla professione, formazione, deontologia e vigilanza. Poi, se saremo d’accordo – e individueremo organismi più snelli e autorevoli - lo potremo anche abolire.     

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