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Per una decrescita dell'informazione

pubblicato 17 ago 2011, 01:55 da Mauro Sarti
E se applicassimo il paradigma della decrescita (Latouche, 2006) anche alla nostra informazione? Cambiando valori e concetti, mutando le strutture, rilocalizzando le redazioni, rivedendo in profondo la selezione delle notizie, dando ascolto ai paesi del sud del mondo e alle loro priorità?  Ecco, si potrebbe partire da qui per parlare oggi di giornalismo e delle sue varie appendici degenerative. Mentre anche in Italia prendono piede nuove esperienze di narrazione giornalistica (basta avere presente le cronache indimenticate di Giuseppe D’Avanzo sul caso “Ruby” pubblicate da Repubblica) e il multimediale riempie sempre di più il nostro tempo libero, serve alzare lo sguardo verso nuovi e più luminosi orizzonti. Vediamo perchè. 

Paradossalmente, in questi anni frenetici dove il web ha stravolto convenzioni e certezze dell’informazione mondiale, e la velocità ci ha abituati a gustare notizie esclusivamente in real time, è forse dall’elogio della lentezza che si deve partire per individuare le cause, ma soprattutto per dare un nuovo senso a quell’informazione, certo indispensabile e ormai merce rara, che ci permette di esercitare appieno i nostri diritti di cittadini “bene informati”, acculturati, presenti nel nostro tempo e capaci di interpretare il mondo. Magari – verrebbe da aggiungere  - anche di cambiarlo. Vediamo tre esempi.

Il primo. Internazionale, il settimanale diretto da Giovanni De Mauro, ha un bacino di lettori che si attesta sui 105.000 e spedisce ogni settimana 21.550 copie. Eppure è un magazine che tratta di temi internazionali ripresi dalle migliori selezioni della stampa estera. Segno dunque che ogni articolo ripubblicato su Internazionale non è mai nuovo e, spesso – dopo essere stato tradotto in italiano - racconta di fatti e cronache di cui si sono già occupate le pagine degli esteri di quotidiano e settimanali. Eppure, a farci caso, negli zaini di molti studenti universitari – assieme a Il Fatto – ogni venerdì spunta con frequenza la testatina blu della rivista dove collaborano, fra tanti, Loretta Napoleoni, Goffredo Fofi e Tito Boeri.

 Il Fatto, secondo esempio. Uscito nelle edicole il 23 settembre 2009, è sicuramente il caso editoriale di questi ultimi anni. Oggi diffonde ogni giorno tra le 115 e le 120.000 copie, ed è un giornale che gioca tutto su una specialissima selezione delle notizie. Sul Fatto non c’è tutto, ma tante cose si possono leggere solo lì, e particolare è il taglio che viene dato alle notizie. Piaccia o no, ha già affascinato migliaia di giovani lettori.

 Infine, e quasi paradossalmente, il terzo esempio: la più acuta selezione delle notizie sembra venire oggi dai quotidiani free-press, i giornali gratuiti nati per durare il tempo di una tratta in metro o sul bus, frutto di un micidiale taglia-e-incolla dalla maggiori agenzie di stampa, nati per colpire quel pubblico di “non lettori” (generalizzando: donne, studenti e stranieri) che non acquisterebbero mai un giornale in edicola, ma che trovano sul free-press tutto quello che può loro bastare per affrontare la giornata con un minimo di consapevolezza. Sono questi giornali (City, Metro, Leggo…) che, più di tutti, hanno un occhio di riguardo non solo per l’informazione di servizio, il che sarebbe in parte ovvio, ma soprattutto verso alcuni temi sociali – pensiamo al volontariato, alla disabilità, al carcere, alla psichiatria  – che vengono ampiamente snobbati dalla grande informazione.

 Abbiamo fatto tre esempi, ma potremmo continuare con il successo delle micro web-tv in tutto il paese ( www.femitv.tv ), o dalle centinaia di ritagli stampa che ha accumulato in poco tempo un’esperienza unica nata a Bologna come quella di Crossing Tv ( www.crossingtv.it ), nel campo dell’informazione multiculturale oppure il giornale on line d’informazione sociale Bandiera Gialla (www.bandieragialla.it ). Ma anche, come fonte primaria, l’agenzia di stampa Redattore Sociale (www.redattoresociale.it ), che proprio in quest’anno compie 10 anni di vita.  Ecco, tutto quello che rallenta il ritmo incalzante e tarato per l’informazione-intrattenimento impostoci da tv e web trova nuovi spazi, e lo stesso web vince e trova lettori soprattutto in quelle  pagine on line che sono maggiormente segmentate, dove il pubblico è più selezionato, si direbbe oggi targettizzato, customizzato. Spazi dove, insomma, è più facile scegliere. E dove la scelta fa la differenza. Ecco, tutto questo merita una riflessione, a partire da quella decrescita dell’informazione che trova fondamento in un certo consumo critico che, se può funzionare per l’acquisto della lattuga a “km zero”, potrebbe non sembrare eretico allargare anche alla scelta di un particolare canale digitale piuttosto che di una radio web.

La decrescita. Serge Latouche, professore emerito a Paris-Sud (Orsay), la intende “come una parola d’ordine per indicare con forza la necessità di abbandonare l’insensato obiettivo della crescita per la crescita, obiettivo il cui unico motore è la ricerca sfrenata del profitto da parte di chi detiene il capitale. Evidentemente, non si tratta di rovesciare in modo caricaturale la situazione sostenendo la decrescita per la decrescita (…). Il progetto della decrescita è un progetto politico che consiste nella costruzione, al Nord come al Sud, di società conviviali autonome e sobrie” (da Serge Latouche, La scommessa delle decrescita, Feltrinelli 2010).  Viene da se che queste società “conviviali autonome e sobrie” hanno bisogno di una informazione altrettanto “conviviale autonoma e sobria”, e i tre esempi che abbiamo citato più sopra vanno forse in questa giusta direzione. Il settimanale impegnato che guarda al sud del mondo, un quotidiano che riesce ad appassionare all’informazione di carta le giovani generazioni, una piccola stampa popolare che guarda da vicino le esperienze più “civiche” del nostro paese. Certo, sono esempi presi tra tanti. E altrettante fragilità si potrebbero riscontrare in queste imprese editoriali appena citate che però hanno il merito di avere cambiato anche solo un poco le carte sul tavolo dell’informazione del nostro paese. Per loro  lavorano le nuove generazioni di giornalisti, quei tanti precari e free-lance – ormai non più giovanissimi -  che oggi faticano a sbarcare il lunario in un mercato sempre più confuso e sregolato, che lottano per l’abolizione della parola “clandestino” dalle cronache dei quotidiani e delle agenzie di stampa ( www.giornalismi.info/mediarom ), che lavorano la sera per pagarsi la scuola di giornalismo.

Sono loro che credono più di altri  in quell’informazione “intenzionale” che ci ha insegnato Riszard Kapuscinsky, quella che non si accontenta di conoscere le cose, ma che ha anche l’ambizione di cambiarle: denunciando, segnalando, ripristinando quella missione da watch dog di americana memoria che ormai sembra lontana anni luce dalle cronache di molti nostri giornali. La decrescita dell’informazione in questo senso può servire, una decrescita tecnologica e multimediale, partecipata e civica, uno sviluppo lento che ci deve inevitabilmente portare, e un po’ già lo sta facendo, verso una nuova e più inclusiva società dell’informazione.  (mauro sarti)

 

 

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