La strage di Ustica è uno dei pochi episodi della recente storia italiana in cui il lavoro di un giornale è determinante nel cercare di ristabilire la verità. Andrea Purgatori fin dalla prima sera inizia a indagare sulle vere cause per cui un Dc9 di una compagnia privata la sera del 27 giugno 1980 esplode in volo sul Tirreno, inabissandosi con tutti i passeggeri e l'equipaggio: 81 morti. E sono già passati trent'anni. Quello che segue è un pezzo, tra i tanti scritti da Purgatori su Ustica, che al Coccodrillo è rimasto particolarmente impresso. ROMA - "Mi telefonò a casa un paio di giorni
dopo la strage di Ustica: "Comandante, si ricorda di me? Sono
Dettori".
Lì per lì il nome non mi diceva niente. Allora mi ricordò
di un incontro che avevamo avuto nel 1978, con i sottufficiali della
base
di Grosseto. Mi rammentò alcuni particolari della sala e di una
uscita
che aveva avuto il comandante. Era agitatissimo: "Comandante, siamo
stati
noi a tirarlo giù. Siamo stati noi". Lo bloccai subito: ma che
stai dicendo? E lui: "È una cosa terribile...". Era sempre
più agitato. Gli dissi: guarda, ti rendi conto che è una cosa
enorme, ci vogliono delle prove, dei riferimenti. E lui: "Io non le
posso
dire nulla, perchè qua ci fanno la pelle". Cercai di calmarlo,
perchè tanto più era agitato, tanto più poteva essere
pericoloso per lui...". Mario Ciancarella, ex capitano
dell'Aeronautica
in servizio alla base di Pisa fino al 1980, imputato di
insubordinazione perchè
tra i fondatori del movimento dei militari democratici, processato
ed espulso
dall'Arma azzurra, oggi fa il libraio, ma non ha mai dimenticato una
virgola
di quanto accadde intorno a lui e agli altri sottufficiali e
ufficiali investiti
da una tempesta di accuse per aver osato alzare la testa di fronte
agli stati
maggiori. Bene, adesso Ciancarella ha deciso di raccontare tutto e
la rivista
Avvenimenti ha già pubblicato una prima parte dei suoi ricordi.
Testimonianze
che aggiungono tasselli importantissimi per ricostruire la vicenda
di cui
è stato protagonista il maresciallo Mario Alberto Dettori, il
radarista
di Poggio Ballone trovato impiccato nel 1987. Nelle prossime ore,
Ciancarella
sarà ascoltato dal giudice istruttore Rosario Priore, che sul "caso
Dettori" vuole far luce completa. La questione è delicatissima
e potrebbe forse chiarire il mistero sulle possibili connessioni tra
la base
di Grosseto, il radar di Poggio Ballone e la strage del DC9. Nei
giorni scorsi,
infatti, il magistrato avrebbe sequestrato una agenda del
maresciallo Dettori,
in servizio proprio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno 1980, su
cui sarebbero
annotati riferimenti a "missili" e alla "Difesa aerea".
Il fatto è che il giorno dopo la strage, Dettori confidò con
tono concitato alla cognata che "eravamo stati a un passo dalla
guerra".
E che questa confidenza trova oggi una conferma sostanziale nelle
parole e
nei ricordi del capitano Mario Ciancarella. Dunque, capitano, quando
Dettori
la chiamò era agitato. "Molto. Tanto che le cose che mi stava
dicendo mi fecero uno strano effetto. Voglio dire che mi preoccupai
più
di calmarlo che di capire effettivamente che cosa era successo". E
poi?
Il maresciallo si rifece vivo con lei? "Sì, ai primi di agosto.
Mi telefonò una seconda volta a casa. Ma con un tono completamente
diverso. Era freddissimo. Accennò alla faccenda del Mig trovato
sulla
Sila, a cui devo dire che in quei giorni non avevo dato troppa
importanza.
Poi mi ricordò che gli avevo chiesto riferimenti precisi, prove".
Gliele fornì? "Mi disse: "Io le posso dare solo alcuni suggerimenti,
che poi lei deve verificare". Gli chiesi: scusa, ma in base a cosa
mi
dai questi suggerimenti? E lui: "Dopo questa puttanata del Mig... si
guardi gli orari degli atterraggi, i missili a guida radar e a
testata inerte".
Gli risposi che lo avrei fatto. Ci scambiammo gli auguri estivi . E
da allora
non lo sentii più". Ciancarella ricorda che per lui non ci fu
più nemmeno il tempo di farli quei controlli suggeriti da Dettori. All'inizio di settembre cominciò la raffica di accuse contro il
movimento
dei militari democratici e prima della fine dell'anno arrivò anche
l'imputazione di insubordinazione. "Avevo la testa da un'altra parte
e nella mia stessa situazione c'era anche un mio caro amico, Sandro
Marcucci",
ricorda. Marcucci, anche lui capitano pilota dell'Aeronautica, anche
lui espulso
dall'Arma azzurra, è precipitato a febbraio in Toscana con il suo
aereo
antincendio. Un incidente discusso e discutibile, sostiene
Ciancarella. Avvenuto
appena due giorni dopo la pubblicazione sul Tirreno di una durissima
lettera
aperta che Marcucci aveva scritto sui temi della libertà e
democrazia
in Aeronautica. Anche Marcucci sapeva delle confidenze di Dettori?
"Marcucci
sapeva altre cose. Ad esempio, sosteneva che quel Mig precipitato
sulla Sila
era partito dalla base di Pratica di Mare. Lui a Pratica c'era stato
a lungo,
per un corso sul G222. Me ne aveva parlato più volte". Ieri, in occasione della cerimonia di giuramento del corso Nibbio IV all'Accademia di Pozzuoli, il capo di stato maggiore dell'Aeronautica, generale Stelio Nardini, ha detto: "Ciò che è avvenuto lunedì scorso a San Macuto (l'approvazione della relazione finale che mette sotto accusa l'Arma azzurra per le omissioni sulla strage di Ustica, n.d.r.) ha procurato ferite più laceranti di quelle che hanno segnato i corpi, cinquantuno anni orsono, dei nostri caduti, ma noi non smetteremo un solo attimo di lottare per la causa della verità. Perciò oggi, davanti a questa bandiera e a tutti voi, dico: nessun uomo dell'Aeronautica militare ha mai tradito la loro memoria, il loro sacrificio, il giuramento di fedeltà alle nostre istituzioni". Poi di fronte ai giornalisti, Nardini ha voluto precisare che nelle sue parole non vi era nessun intento polemico: "Non mi permetterei mai di essere polemico con nessuno - ha detto l'alto ufficiale - noi però non ci sentiamo sotto accusa, siamo soltanto amareggiati. Ancora non so per quale motivo è caduto il DC9 dell'Itavia a Ustica. Ci sentiamo parte di questa tragedia che ha colpito il Paese e ri teniamo che in questo stato di diritto la verità verrà fuori". Andrea Purgatori - Corriere della Sera, 17 aprile 1992 |
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