Dopo il 15 ottobre 2011, non ci resta - desolati - che tornare a rileggersi Aldo Capitini. "… nel riconoscere i limiti del metodo elettorale e parlamentare, i fautori della guerriglia ritengono che al posto della “illusione elettorale”, abbia maggiori probabilità di successo per la trasformazione della società il loro modo di combattimento e di costruzione politica, sulla base del partito unico; i fautori del metodo nonviolento, muovono dal rifiuto della guerra, e tendono ad attuare il principio della massima democratizzazione, in aggiunta al metodo elettorale, mediante un vastissimo controllo, informato e attivo, con la disposizione a contrastare a tutto ciò che è ingiustizia, oppressione, sfruttamento: contrastando non solo a che ci siano sfruttati dal capitalismo, ma anche a che ci siano privati della libertà di espressione, informazione, associazione, da parte di gerarchi politici o burocrati polizieschi. Che ancora nell’opinione di molti l’azione nonviolenta
sembri meno incisiva e decisiva dell’azione violenta, deriva principalmente dal
fatto che l’educazione degli uomini è ancora prevalentemente fondata non sul
valore di ciò che viene affermato, e che talvolta provoca trasformazioni a
lunga scadenza e profonde, ma sul risultato e il successo. Per questo, chi è
persuaso della compresenza e dell’omnicrazia non ha che da persistere
nell’arricchimento di motivi interiori che egli mette nell’uso della
nonviolenza, motivi interiori che sono la premessa di un avvenire più
complesso, che già comincia nell’atto stesso”.
(Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969) |
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